“Ma scherzi? Un travaglio di 36 ore?”

Dopo il mio post in cui ho raccontato il parto di Cesare mi avete scritto in tante chiedendomi come mai fosse stato così lungo.

Le ragioni sono molte e complesse e credo che la maggior parte sfugga alla mia mente e ricada in quello che io chiamo ‘il progetto della Vita per me’. Ma ci sono alcune cose che forse avrebbero potuto essere gestite diversamente e che vi elenco in modo che:

– chi di voi si appresta a partorire ne possa tenere conto

– chi ha già partorito magari possa rileggere il proprio parte alla luce di queste considerazioni.

Ecco le 7 cose che forse hanno influito sulla durata del mio travaglio:

1 –Appena mi si sono rotte le acque mi sono fiondata in ospedale

Vittima anche io della cultura cinematografica secondo la quale alla rottura delle acque se non ti precipiti in ospedale partorirai sul marciapiede, ho chiamato subito il reparto dove mi hanno (ovviamente) detto: “Vieni qui che facciamo un controllo”. Ero al primo figlio, avevo un sacco di dubbi e non ero stata preparata su questo aspetto quindi, sebbene abitassi a 3 minuti dall’ospedale, ho preso armi e bagagli e mi sono infilata nel tunnel da sola :D Entrare in ospedale ‘troppo presto’ ha probabilmente influito sul procedere del travaglio: tutti i controlli, le domande, le flebo, i monitoraggi e le visite mi hanno infatti subito riportata ad attivare il mio cervello logico/razionale. In questa fase invece la donna dovrebbe pian piano scivolare verso la predominanza del suo cervello antico/istintivo. Primo strike!

2 — Sono rimasta in ospedale

In reparto dopo avermi visitata e monitorata mi hanno detto che avrei dovuto fare esami del sangue e flebo di antibiotico ogni tot ore (alias: ‘sei malata’, ‘il bambino è in pericolo’ ecc.) e che quindi forse sarebbe stato meglio per me rimanere ricoverata direttamente. Già solo la parola “ricovero” dal cervello antico viene letta inconsciamente come una “minaccia”: “sei malata”, “sei in pericolo”, ecc. Ecco che quindi il corpo si attiva in modalità attacco/fuga con rilascio di adrenalina e cortisolo (nemici nr 1 dell’ossitocina). Ancora una volta: non avevo le conoscenze per divincolarmi da questo consiglio e quindi ho accettato di rimanere.

3 — Sono stata messa in camera con 2 sconosciuti

In attesa che iniziasse il travaglio (avevo pochissima attività di contrazione ancora) mi hanno messa in una camera doppia dove si trovava già una ragazza incinta con suo marito, ricoverata per coliche renali (in quel momento lei stava molto peggio di me!). Ora io e Luisa abbiamo fatto anche amicizia ed è una splendida persona, ma al momento per me lei e suo marito erano di fatto sconosciuti. Lo erano soprattutto per il mio cervello antico, che in quel momento stava cercando solamente uno spazio sicuro e lontano da occhi indiscreti per partorire. Per il cervello antico/istintivo tenete conto che “sconosciuto = pericolo”. Il mio corpo quindi è entrato ancor più in uno stato di allerta (“Non è forse una buona idea partorire qui”) aumentando il rilascio di adrenalina e cortisolo e rallentando quindi sia il rilassamento che, di conseguenza, il parto). Questo io all’epoca non lo sapevo perché non avevo ancora studiato neuroscienza e nessuno al corso pre parto me l’aveva detto. E’ meglio per la mamma stare in uno spazio da sola, dove si senta intimamente al sicuro e protetta. Meno ha contatti con gente nuova, meglio è.

4 — Hanno mandato a casa Paolo

Non contento di mettermi in camera con degli sconosciuti, e quindi palesemente ignaro delle basi biologiche del parto, il personale ha pensato poi bene di mandare a casa Paolo a riposare (poverino lui! :D) mentre io potevo “tranquillamente” dormire li (per essere però svegliata ogni tot ore per esami del sangue e antibiotico). Per una femmina in procinto di partorire, essere in un territorio sconosciuto (l’ospedale) abitato da estranei e non avere nemmeno la “protezione” dell’uomo, dilatarsi ed entrare in travaglio sarebbe un gravissimo errore tecnico. Pensate a una gatta: partorirebbe nel mezzo di una strada, sotto gli occhi di tutti, alla mercé di qualunque possibile ‘predatore’? No: si trova un covo appartato dove partorire sentendosi al sicuro e protetta. Quindi nonostante tutte le mie (e loro) buone intenzioni ho passato la notte in bianco tra le contrazioni che iniziavano a farsi sentire ed esami, visite, varie ed eventuali.

5 — Mi hanno proposto l’induzione e io l’ho accettata

Non posso scrivere ‘mi hanno fatto l’induzione’, perché non è tecnicamente vero: non me l’hanno imposta. Me l’hanno comunicata. E io, non sapendo di avere scelta, ho detto ok. E’ violenza ostetrica? Non lo so perché secondo me io ho avuto la mia responsabilità, e cioè il non essermi informata prima. Avanti con la fascetta per indurre il parto quindi.

6 — Mi hanno spostata avanti e indietro tra la sala parto e la camera per…non ricordo neanche quante volte. Territorio non pervenuto…

Mentre la fascetta iniziava a fare il suo lavoro e a spingere l’utero a contrarsi in tempi molto rapidi e innaturali, io passavo le ore camminando, respirando (con quel poco che sapevo) e muovendomi (con quel pochissimo che sapevo). Ma di tanto in tanto, essendo le contrazioni molto ravvicinate e molto intense, chiedevo lumi alle ostetriche e loro quindi continuavano a farmi andare in sala parto, visitarmi, monitorarmi, infilzarmi aghi per le flebo e per gli esami (comodissimo muovermi poi peraltro) per poi dirmi: ‘non sei ancora dilatata’, ‘il travaglio non è ancora iniziato’ (a me suonava come ‘ritenta, sarai più fortunata’, o peggio: ‘hai fallito, torna a casa’). Con questi continui spostamenti non trovavo uno spazio sicuro, un ‘territorio’ dove poter dare inizio al mio parto. Finché all’ultimo finalmente ho detto: ‘No, io non torno in camera, io resto qui’. Ma era troppo tardi.

7 — L’incoraggiamento e la comprensione sono un’altra cosa

In tutto questo mentre passavo le ultime ore tra docce, massaggi di Paolo e un dolore che non mi lasciava respirare, le ostetriche che continuavano a susseguirsi sempre nuove, invece di accompagnarmi dentro a me stessa mi dicevano frasi come: ‘Ma questo non è il VERO travaglio perché non sei ancora dilatata’, ‘Sei troppo tesa, DEVI rilassarti’, ‘Se vuoi ti tolgo la fascetta e facciamo FINTA che l’hai persa, ma non è detto che migliorino le cose’…E potrei andare avanti così. Lascio a voi interpretare come questo tipo di affermazioni si possano poi manifestare a livello emotivo e nel corpo. Arrivata a questo punto ricordo anche poco di come reagissi: ero solo confusa, arrabbiata, molto molto stanca e in preda al panico per il dolore che secondo loro non era neanche quello ‘vero’.

In finale alle 3 di notte, dopo 36 ore che ero in ospedale, senza dormire e con pochissimo mangiare (andavo avanti a camomilla e fette biscottate…) mi hanno comunicato che l’indomani mattina alle 10 se non fossi stata ancora dilatata avrebbero provato con l’ossitocina. A quel punto, figurandomi di dover resistere in quello stato per una notte intera sono crollata emotivamente implorando un cesareo, un’epidurale, o qualsiasi cosa potesse farmi respirare. Dopo 2 ore, a causa di alcuni valori che stavano salendo mi hanno detto che avrei fatto un cesareo d’urgenza, che io ho salutato con lacrime di gioia e che in pochi minuti mi ha permesso di abbracciare il mio bambino e porre fine a quel viaggio scombinato.

Perché ti ho raccontato questo?

Per concludere specifico 2 cose: questa esperienza è stata mia, e mia soltanto, e non significa che qualunque di questi passaggi possa influire su di voi allo stesso modo. Conosco mamme che hanno partorito da sole (senza il papà), che hanno partorito con l’induzione o in situazioni umane molto peggiori (vedi chi sta partorendo quest’anno con i protocolli contenitivi per il virus…).

Ti ho raccontato la mia esperienza perché dopo anni l’ho riletta alla luce delle conoscenze che maturato su parto e su neuroscienza e anche se il mio parto è accaduto così perché era il mio destino, magari anche evitare qualcuna di queste cose avrebbe potuto migliorare di poco la mia esperienza.

Le cose che contano sono 2:

La prima è che attraverso questo viaggio ho conosciuto mio figlio, ed è un viaggio che per lui rifarei, ad occhi chiusi, nonostante tutto!

La seconda è che tutto questo mi ha portata a volermi occupare delle mamme in gravidanza e di accompagnarle a crescere in consapevolezza per arrivare al parto più preparate sui propri diritti, sulle proprie opzioni, sul proprio respiro e sul proprio corpo, e fino ad oggi, dai loro racconti post parto, devo dire che stanno facendo un ottimo lavoro.
Se sei in gravidanza e desideri arrivare al parto più consapevole e preparata contattami.

Ti lascio qui sotto alcuni libri da leggere sul parto consapevole:

  • L’agricoltore e il ginecologo
  • Venire al mondo, dare alla luce
  • Partorirai con amore
  • Per una nascita senza violenza

Per saperne di più…

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